Alla fine del magico decennio di Varese, Dino Meneghin era ancora un gigante del basket italiano. Roberto Carrain, presidente della Reyer, lo voleva a Venezia.
Ebbe la meglio Tony Cappellari, direttore sportivo di Milano che la portò all’Olimpia nel 1981. La trattativa era stata condotta e portata a termine dall’avvocato Mario Colantuoni, all’epoca presidente del Varese Calcio, arrivato in biancorosso dalla Sampdoria. L’accordo fu trovato già a gennaio ma la cessione fu comunicata a maggio e a Varese scoppiò una rivoluzione. Guido Borghi, che deteneva il suo cartellino si portò a casa 400 milioni.
A 31 anni, Dino Meneghin si era rimesso dunque in gioco con l’Olimpia di Dan Peterson, così forte negli anni Ottanta da essere definita «la ventiquattresima squadra dell’Nba». Quello che doveva essere solo un biennale si allungò per l’intero decennio, intriso di nuovi successi per «Super Dino», capace di vincere ancora tutto, di essere eletto, per la seconda volta, miglior giocatore d’Europa, di conquistare il titolo continentale con l’Italia, a Nantes nel 1983, e di partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles, quattro anni dopo l’argento di Mosca 1980.
Nella quinta puntata di Vincere, Meneghin rivive la sua seconda giovinezza con l’Olimpia, ma parla anche del rammarico di non aver mai giocato nell’Nba e dell’orgoglio che prova chi indossa la maglia della Nazionale. Non può mancare un passaggio sul figlio Andrea, pure lui sul tetto d’Europa con la nazionale nel 1999, e incontrato sul parquet, in Serie A, da avversario, quando la Stefanel Trieste, dove Dino era approdato, aveva affrontato, 14 ottobre del 1990, la Ranger Varese, in cui stava bocciando il talento del giovane Meneghin.
Infine, Filippo Brusa chiede all’ex giocatore, che fa parte della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield, di riassumere il segreto del successo: «Per vincere e soprattutto per essere capaci di ripetersi, continuando a vincere, occorre tanta etica del lavoro e forza mentale. Se sei uno che si accontenta, si abbatte al primo problema e non reagisce, allora lo sport professionistico non fa per te. Nella vita troverai tante porte chiuse, altre che ti verranno sbattute in faccia e, se non avrai la forza interiore di risollevarti e lottare, per te e per la tua vita, tutto diventerà un travaglio pazzesco. Lo sport aiuta proprio in questo: a lavorare sul tuo talento, sui tuoi pregi, a migliorarti e a superare i tuoi difetti e, se non fai questo, difficilmente raggiungerai qualsiasi tipo di risultato, a qualsiasi livello e non solo nello sport».
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